Volendo offrire una concisa definizione del termine “Barocco”, probabilmente non riusciremmo ad evitare la banale descrizione di una concettualità estetica radicata proprio sull’elusione di ogni rigido schematismo. La poliedricità stilistica in auge durante il periodo ha persino portato alcuni studiosi a negarne una poetica unitaria e definita, non riuscendo essi a cogliere proprio nell’estrema ecletticità, i tratti salienti di uno stile centocinquantenario.
I caratteri salienti dell’arte barocca risultano ben definiti, soprattutto in musica, e rispondono fulgidamente all’esigenza di centralità che l’uomo seicentesco, galileiano, laico, cittadino dei grandi stati nazionali nascenti avvertiva sempre più. Le arti figurative avrebbero atteso il secondo Settecento per emanciparsi dall’egida del primato teologico, in musica invece, già a partire dagli albori del ‘600, quando i primi drammi in musica videro la luce, la poetica secolare cominciò a rivelarsi in tutta la sua essenza squisitamente terrena. Il contrasto tra polifonia sacra rinascimentale e monodia barocca profana d’ispirazione greca ben illustra la richiesta d’intelligibilità da parte di un homo novus che bramava di essere coinvolto, ammaliato, scosso, meravigliato, intrattenuto dalla musica. Scriveva Giovan Battista Marino:
È del poeta il fin la meraviglia.
In verità è proprio sullo stupore che l’arte della prima metà del Settecento puntò. I contrasti tra luci ed ombre, fasto e sobrietà, gioia e languore risultano un elemento fortemente umano, massima espressione dello spirito dionisiaco. La visione centralistica della persona, derivata da un novello “Io” scientifico e pre-illuminista non portò tuttavia alla formulazione di un’estetica del reale: la finzione scenica durante il Barocco fu de facto fondamentale ed apprezzatissima. Basti pensare ai “castrati”, tanto di moda nel periodo. Quelle voci irreali, non configurabili all’interno di parametri naturali, non femminili né maschili, si prestavano perfettamente a rappresentare eroi e condottieri, ovvero personaggi al confine tra la storia ed il mito.
D’altro canto la prospettiva umanistica non annullò la ricerca di spiritualità da parte degli artisti barocchi. Al contrario, aveva luogo una ricerca di trascendenza su due fronti: da un lato, ad opera di autori quali J. S. Bach, che protesero al Pantocreatore attraverso le più alte strutture compositive e matematiche, anelando a un ponte spirituale tra mens humana e mens divina; dall’altro, grazie a compositori che come Claudio Monteverdi, anche occupandosi esclusivamente di musica profana, compirono una profonda indagine psicologica dei personaggi, ricercando ogni espediente per suscitare nell’ascoltatore le emozioni più profonde ed autentiche. E’ il tempo della retorica musicale e della teoria degli affetti.
Il Barocco fu di sicuro un periodo di democrazia creativa: i compositori italiani d’opera, a partire dal 1637 (anno di istituzione del primo teatro impresariale), iniziarono ad avere come unico giudice e referente il proprio pubblico, al gusto del quale indirizzarsi. È tuttavia altrettanto vero che oltralpe fu il tempo dei grandi sovrani illuminati. Il Re Sole, provetto ballerino ed amante della musica egli stesso, probabilmente influenzò più di ogni altro sovrano il corso della musica, direttamente ed indirettamente. Ci chiediamo: è forse la fede indubitabile nella struttura sociale di tipo piramidale a rafforzare così tanto l’idea di tonalità? Sono forse le leggi di Keplero sull’orbita ellittica che identificando un afelio, un perielio ed un fuoco di attrazione, legittimarono concettualmente la supremazia dei tre centri d’attrazione armonica: tonica, dominante, sottodominante? L’ellisse kepleriana fu ad ogni modo figura geometrica fondamentale del Barocco.
Seppur il rafforzamento del concetto di auctoritas filosofica e scientifica infondeva piena fiducia e positivismo, in un epoca ancora sferzata da pestilenze, guerre e carestie, l’alta società temeva più di ogni altra cosa la perdita del proprio status. Ciò portò alla volontà di affermare veementemente i privilegi sociali acquisiti. Il concetto trasmigrò dunque in arte con l’ostentazione dello sfarzo e la sovrabbondanza di ornamentazioni: in musica è l’epoca degli abbellimenti, del virtuosismo strumentale, del funambolismo dei castrati. La teoria aristotelica dell’Horror Vacui, ovvero della preponderanza dello spazio pieno rispetto a quello vuoto, sebbene confutata dalle leggi di Torricelli e Pascal, continuò a lungo a tradursi in un’attenzione ossessiva al dettaglio piuttosto che all’insieme.
Eugenio d’Ors intorno al 1950 propose una lettura metastorica del Barocco, assumendo che non si tratti di un periodo storicamente circoscritto, ma di una tendenza artistica reiterata nel tempo, un atteggiamento poetico traducibile nella fase hegeliana del fuori-di-sé, durante la quale l’arte, prima ingabbiata in canoni formali claustrofobici, prepotentemente elude le linee di fuga, estrinsecandosi in un primo momento nell’innovazione, e traducendosi secondariamente nei manierismi storici. L’ipotesi dell’autore spagnolo è senz’altro suggestiva, e ci permette di avanzare un parallelismo tra i giorni nostri ed i secoli XVII e XVIII.
Oggi viviamo certamente in un periodo neo-barocco, lo testimoniano innumerevoli fattori. E’ un periodo di entusiasmo tecnologico-scientifico, un periodo nel quale internet ha abbattuto ogni distanza. E’ un periodo di predominio dei grandi monopolî e di rafforzamento delle entità statali dominanti. E’ un periodo di crisi delle ideologie filosofico-politiche e di rafforzamento dell’ideale estetico. L’apparire, mai come oggi, ha ricoperto un’importanza trasversale: i social network e la costante propensione alla comunicazione effimera hanno riportato in auge l’idea settecentesca della finzione legittimata. E’ un’età multistilistica e di contaminazione, è l’età dei contenuti shocking e del primato polisensoriale, attestato dalla diffusione della tecnologia 3D.
La musica del Seicento e Settecento ha il grande pregio di interpretare o meglio descrivere alla perfezione i contesti post-moderni nei quali è “immersa”. Sorprendente è l’eleganza eterea che caratterizza il legame tra le note di Händel o Rameau e le vedute urbane odierne, ciò a riprova del fatto che la musica barocca sia certamente universale e senza dubbio attuale nel suo surrealismo retorico. Affinché la magia del transfert spazio-temporale si verifichi, è però d’uopo che l’interpretazione restituisca la purezza cristallina del suono, astratto, quasi atavico, scevro da ogni cristallizzazione romantica, così come pensato dai compositori barocchi. Un suono senza tempo, tangibile ma etereo, vero ma cangiante, le cui peculiarità confermano quanto il confine tra surreale ed iper-reale sia assai labile.
In questo risiede il nostro interesse filologico: non nella pretesa di ricreare un’esperienza storicamente perfetta, impresa già in partenza velleitaria, ma nella volontà di offrire agli ascoltatori quel caleidoscopio di “affetti” tanto cari all’estetica del tempo, attraverso i quali godere di una proposta musicale autentica ma attuale, in breve “neo-barocca”.